Sintetizzare questo viaggio in Indocina non è cosa semplice, per la quantità di luoghi visitati, di donne e uomini incrociati, di sensazioni provate. Sono partita con le molte aspettative con cui convivo da sempre, perché la mia mente viaggia più veloce della realtà e quindi la disegna in un modo tutto suo prima che io possa viverla per davvero. Mi ero immaginata come una moderna Marguerite Duras, alle prese con un Mekong avvolto nella foschia umida, indossando una tunica bianca e un panama ambiguo, trascorrendo le serate a bere vino di riso nelle bettole del lungo fiume, trovando ristoro in qualche tempio intriso di autentica sacralità.
Mi sono ritrovata a passeggiare per degli stradoni con buche profonde come crateri, ho viaggiato di notte su un bus barcollante, ho scalato un pezzo di montagna fradicia, ho tentato di digerire coriandolo per ogni piatto che ho mangiato, ho attraversato a piedi un ponte lungo davvero troppo per soffermarmi sul fatto che mancassero delle tegole e che sotto di me ci fosse un fiume profondo che solo Indiana Jones; ho anche dormito su una barca con persone e topi e ho visto teste di cane al mercato del paese e nello stesso mercato ci stavo lasciando tutto il mio apparato digerente; ho sentito dei monaci esultare alla nostra vista esclamando la parola “pelo”, mi sono rattristata al passaggio di elefanti “liberi” con le catene ai piedi, e mi sono incazzata quando uomini del posto hanno toccato le nostre gambe invece che la nostra spalla per avvertirci di qualcosa, sentendosi in diritto di abusare fisicamente di tre ragazze SOLE.
Poi però ho anche immortalato occhi di bambini di una purezza disarmante, ho accarezzato acque di un verde irreale, ho nutrito una certa riverenza per le aspre montagne a picco sul mare, ho scrutato nuvole dense quasi attraversandole, e assistito ad una lezione di piano in mezzo ad una caotica strada di Hanoi; mi sono gustata la preparazione di una zuppa da un’anziana signora che sapeva di maternità e ho goduto di un tramonto drammatico proprio attraversando quel Mekong tanto sognato; ho fissato negli occhi tanti Buddha piccoli e grandi la cui espressione non aveva nulla dell’aria di rimprovero e dei gesti sacrificali di una trinità tanto onorata nel nostro paese e poi ho riso al passaggio di motorini con sopra famiglie intere senza manco un casco per ricordarmi che non siamo poi così diversi pure a 13.175,49 km di distanza. E infatti Hanoi è come Napoli sbandata, come i quartieri, come le donne che si coprono di pezze perché l’abbronzatura è disdicevole, come il caffè che è tanto forte quanto imbevibile, come il caldo impossibile che invece di orinare sudi, come una cultura delicata e amara che rimane dentro le piccole “case cadute”.