Marrakech è un luogo mistico come la preghiera dell’alba, quella che ho sentito, tra la mia veglia e il mio sonno, e che mi ha cullato; è il profumo delle spezie, che poi ne ho comprate un po’ per portarmele a casa, ma chissà perché non sarà mai come quando le usava Alì per la tajine del pranzo; è l’ambra del venditore di essenze, con lo sguardo sicuro di chi possiede la conoscenza delle composizioni magiche che mi hanno inebriato.
E da una donna marocchina sono stata condotta in un hammam frequentato dalle donne del posto, e lì sono stata accudita da un’anziana, che nuda, corpo morbido, seno materno, mi ha lavato, e sfregato, mentre bambine bellissime mi guardavano curiose. E la mia pelle è diventata un po’ come la sua, immacolata e tenera.
E Marrakech è anche tutte quelle femmine che si coprono con abiti lunghi e veli castigatori e uomini che violano con sguardi e parole rozze e un ragazzo che aspetta in un vicolo buio per mostrare il suo membro, perché la repressione del piacere ti porta ad assomigliare alla peggiore delle bestie. Ma poi ho incontrato uomini bellissimi e gentili e madri e figlie coraggiose ed evolute, che tentano ogni giorno di scardinare regole ignoranti. Li ho amati. E stimati.
Dico grazie a questa città, divenuta ormai il mio luogo dell’anima, efferata e accogliente, sensuale e mitica, mercenaria e intima. Lì mi sento come qui, a volte, non posso più sentirmi.