Agropoli è un borgo della provincia di Salerno dove nacqui 35 anni fa e dove ogni anno torno, una volta in inverno e una d’estate. Nella stagione fredda amo il sentimento malinconico che mi suscita guardando il suo mare irrequieto che confina con un cielo di nuvole cariche della pioggia che lo mitigherà. È calmo il paese d’inverno, si riposano il porto, la piazza, il centro storico e il suo castello nell’attesa che i turisti vengano a fare loro visita. E in effetti, da maggio ad agosto è un crescendo di vacanzieri ormai fedeli o nuovi, che scoprono con piacere i tesori di Acropolis. Affollano le spiaggette di Trentova o si allontanano dalla folla con le barche che li condurranno dove l’acqua è profonda eppure limpidissima. Pranzano con una pizza che solo al Sud sa in quel preciso modo di farina sugo basilico e bufala; bevono un caffè e assaggiano una sfogliatella nel baretto del centro dove tutti fanno lo “struscio” (passeggiata); si arrampicano per la scalinata (O’ scalon) che li porterà sù sù fino all’agglomerato di antiche case in mattoni di tufo. Lì è un tripudio di fiori sui balconi, di gatti pigri, di parole sante recitate nella vecchia chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Sul promontorio di Agropoli vecchia c’è anche il castello angioino-aragonese, tanto belloda incantare Marguerite Yourcenar che ci ambientò il suo “Anna Soror”; nel centro storico mangi il cornetto caldo, a mezzanotte e per tutta la notte, perché i suoi vicoli non dormono mai, pieni dei chiacchiericci e del verso del mare che è lì, oltre lo strapiombo, a cantare.
Agropoli è la festa dei Santi Pietro e Paolo, quando in tutto il paese si vedono illuminazioni colorate, si assaporano mandorle caramellate e pannocchie bollite. Ad Agropoli c’è la Madonna che viene dal mare, la notte di ogni 29 luglio, quando tante barche quanto è grande l’amore dei pescatori per la tradizione, accompagnano la statua che un tempo si dice riemerse dalle onde, in seguito all’invasione del Corsaro Barbarossa, per tornare al suo tempio santo.
Potrei dirvi ancora dei fichi stesi al sole, che le signore mettono ad essiccare per poi farcire con le noci, magari in una stradina poco lontana dal prestigioso Palazzo della Dogana, un tempo sede della Dogana Borbonica appunto; o dovrei avvertirvi del fatto che, nei pressi della Chiesa madre dei patroni di Agropoli, potreste incrociare un giovane pastore con un asinello nell’intento di dargli da mangiare… Insomma, quello che cerco di mostrarvi con le parole è una vita semplice di momenti schietti e frugali, non patinati, né commerciali. Questo è Agropoli e la terra del Cilento, dove gli antichi splendori vengono conservati perpetuamente come il folclore, i riti, le usanze, i valori, antichi anche loro e sempiterni.