“Entrammo per una Porta che si presentava ancora ben solida, e camminammo per alcuni minuti sopra una un’antica pavimentazione. Subito dopo ci colpì la vista di tre grande edifici che era l’uno parallelo all’altro, ma separati da una diversa distanza. Le forme del primo e del terzo edificio sembrano vicine a quelle delle più antiche Basilicae. La forma del secondo, invece è più straordinaria e difficile da spiegare. Sono templi? Sono Basilicae? Che cosa sono mai?”, si chiedeva Lord Frederick North. Per me che conosco quelle pietre da 35 anni, che le ho calpestate quando da piccola mio nonno, che lì svolgeva il lavoro di custode, mi conduceva per tutto il parco e mi raccontava storie antiche, per me rappresentano il mio luogo del cuore. La loro vista mi emoziona ogni volta, mi ispirano una sensazione di grandezza, di eternità, di primordialità di cui ho nostalgia tanto da doverci tornare sempre. Sono i templi di Paestum, collocati al principio di una terra rigogliosa e varia che si chiama Cilento, della quale sono figlia e di cui voi, spero, sarete visitatori felici.
A Capaccio Paestum c’è tanto mare, accogliente, con distese chilometriche di sabbia scura, confinanti con altre di un blu profondo, dalle coste scogliose ma lussureggianti, con un faro che sembra sospeso sull’acqua, festeggiato da tanti gabbiani liberi e chiassosi. E ci sono i paesini arroccati non lontani, sulle montagne, che sembrano presepi, con le tradizioni della loro gente schiva, genuina, forte, che non presta confidenza, ma in caso di bisogno apre le sue case, fornisce un aiuto, ti offre IL caffè mattino pomeriggio e sera!
Quando torno a Capaccio Paestum, mi accorgo che il mio amore per lei non subisce mutazioni, nonostante la nota apparentemente dolente di un tempo che pare che qui si sia fermato, perché facciamo fatica ad adeguarci alla contemporaneità, ci piace credere che potremo preservare ancora a lungo la lentezza, il silenzio, nel primo pomeriggio della controra, quando per strada scorgi solo un gatto e qualche anziano e la sua panchina, dinanzi a una chiesa piccola di uno dei tanti villaggi del Cilento.
Per me Capaccio Paestum è la mozzarella calda di Enrico, i giri in bici per i campi di grano, le balle di fieno che sembrano d’oro, il molo Sirena, caduco e stanco, le sagre di paese dei balli in costume nelle piazze scatenate, dei piatti poveri e tipici, profumati e incantatori. Per me è un mescolamento di riti pagani e poi sacri di popoli che l’hanno vissuta e contaminata tanto da renderla terra dalla spiritualità potente, mistica e superstiziosa, in altre parole, prodigiosa.