American Honeymoon

Credo che nell’immaginario comune il viaggio di nozze rappresenti il Viaggio per antonomasia. Spesso, complici gli impegni di lavoro e le disponibilità economiche, diventa l’unico vero viaggio che una persona riesce a fare. Anche per me è stato così, almeno in parte. Siamo partiti con nostro figlio, che all’epoca aveva 11 mesi, con un programma semi-definito on the road. New York, Toronto, via Niagara Falls, Montreal, Manchester (Vermont) e Boston, queste le tappe, date precise stabilite solo dai voli di andata e ritorno, il resto, beh, a discrezione della giornata,  o quasi.

Volare con un bambino piccolo potrebbe essere un problema, non lui: ha dormito, sorriso e gorgheggiato in allegria senza piangere e senza disturbare. Il viaggio comincia nel migliore dei modi. Atterrati, stanchi morti, passati i controlli della dogana, l’immigrazione, presi i bagagli, in taxi raggiungiamo Manhattan e non riusciamo a trovare l’albergo, tre volte abbiamo girato l’isolato prima di vederlo.  Check in, saliamo ascensori e corridoi cupi al limite dell’inquietante, finalmente in camera. Apro la valigia consentente le scarpe e il necessario di Pulce: e la valigia non è la nostra. Ho preso una valigia sbagliata dal nastro, io, la mia valigia. Vergogna.

Telefono in aeroporto, non rispondono, altro taxi, da sola, raggiungo l’ufficio, e scopro con orrore che é chiuso e riapre alle 10 del mattino dopo. Altro giro altra corsa, rientro in albergo dai miei uomini.

Prima tappa, New York. Per entrambi non era la prima volta, ma se per me me voleva essere solamente il posto dove atterrare, per lui no, doveva rivivere la Grande Mela. Il mio imprinting newyorkese risaliva agli anni dell’adolescenza, e se di sicuro merita di essere visitata, avendo poi io visitato altre città negli USA e in altri posti, l’entusiasmo per le metropoli e i grattacieli a me è scemato: infondo resto una veneta ruspante, legata agli spazi aperti e alla campagna (da vedere, non coltivare, non ne sono capace).

Recuperata la valigia, le mie scuse sono valse a poco con il severo funzionario; i padroni di quella che avevo preso io erano in scalo tecnico, e sono arrivati in Florida senza il loro bagaglio: ulteriore vergogna, inizia l’esplorazione, rigorosamente a piedi, io, K e Pulce, comodo sul suo passeggino. Little Italy, giusto dietro l’albergo, Battery park, Soho, tutta Lower Manhattan, Ground Zero e Wall Street. E poi su, Broadway, Times Square: non proprio tutto il repertorio, quello lo avevamo già vissuto entrambi, ma un gran lavoro di suole, legati ai ritmi della pappa del piccolo tiranno.

Tre giorni fittissimi, comprensivi della ricerca dell’autonoleggio per tutto il resto del viaggio. Noleggio poi scelto in aeroporto… di nuovo.

La seconda tappa del viaggio prevede l’avvicinamento alle cascate del Niagara, per poi procedere verso il Canada e Toronto. Lasciare New York in auto è stato quasi peggio della tangenziale nord di Milano durante l’Expo e con cantieri aperti: infinito, costeggiato lo Yankee Stadium, e poi direzione Syracuse, attraverso il meraviglioso paesaggio dello Stato di New York.

Se pensate a corse mozzafiato e bolidi rombanti, dimenticatevi tutto. il manto stradale negli States è ruvido, stesso con inerti grossi, il rumore di sottofondo che i pneumatici fanno percorrendo la strada è una costante cui ci si abitua, ma che lascia un po’ rintronati dopo tante ore di viaggio. I limiti di velocità poi fanno assopire chi, come noi, ha il pessimo vizio di avere il piedino pesante: non si corre, un viaggio diventa quasi un’odissea, o così sembra.

Legati ai ritmi del nostro fanciullo, decidiamo di uscire dall’interstatale e percorrere un tratto di strada secondaria, sperando di trovare una bella cittadina dove fermarci per la merenda: il pranzo era stato da dimenticare. Prendiamo la Statale 20, immersi nel verde e quasi nel nulla, e raggiungiamo la cittadina di  Skaneateles, sulla riva dell’omonimo lago, piccolo centro davvero grazioso, dove ci concediamo una ricca merenda nel principale albergo del luogo.

Gli Stati Uniti, quelli dei borghi minori, quelli che si vedono in qualche film, eccoli, a portata di morso.