Dopo essere arrivato a Luxor e aver visitato le sue meraviglie, non potevo tornare al Cairo senza prima aver allungato il viaggio verso sud, fino ad Aswan. Me ne avevano parlato come di una città non molto grande, bella sì, ma non al livello della città ubicata leggermente più a nord, appena visitata. In stazione il tempo sembrava essersi fermato: ero schiacciato da una pesante afa notturna, e il treno che sarebbe già dovuto arrivare un’ora prima non si era nemmeno lontanamente palesato. Nell’attesa, la mia attenzione venne attirata da un ragazzino con la maglietta dell’Inter di Ronaldo, che riusciva a dormire placidamente seduto su una panchina di marmo al terzo binario, nonostante i rumorosi treni in transito (tutti tranne il mio) e il caldo soffocante. Finalmente, dopo un ritardo di 4 ore e altrettante passate in carrozza, il treno riuscì a raggiungere Aswan.
La prima tappa fu la cosiddetta High Dam, un’immensa diga costruita sul Nilo che ha dato origine a un vasto lago artificiale, il Lago Nasser. Questo lago estende la sua enorme superficie sul Tropico del Cancro, e la sua nascita ha implementato l’industria ittica, l’agricoltura, la produzione di energia elettrica e la salvaguardia di opere storiche che rischiavano di essere sommerse da possibili inondazioni. Vedere così tanta acqua dolce tutta insieme, in particolare in Egitto, mi ha fatto un certo effetto, specialmente pensando che questa pozza gigante riposa comodamente in mezzo al deserto.
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Dal lago il fiume prosegue verso nord, restringendosi man mano che ci si allontana dalla diga. Ne seguii il corso fino a raggiungere un piccolo molo, dove erano attraccate delle barchette i cui timonieri stavano bevendo un tipico chai, in attesa di trasportare qualcuno verso una meta indefinita. Salii a bordo di una delle imbarcazioni, e dopo aver lentamente abbandonato la sponda orientale, salpammo verso sud-ovest. La barca scivolava veloce sulle acque calme del Nilo, schivando di tanto in tanto alcuni isolotti, più o meno grandi, a volte spogli e a volte carichi di vegetazione. Il sole accompagnava la traversata e sembrava quasi attenderci direttamente alla nostra destinazione.
Sulla sponda occidentale mi attendeva uno dei vari villaggi nubiani presenti ad Aswan: la storia del popolo nubiano inizia proprio qui, tra l’Egitto meridionale e il nord del Sudan, in tempi antichissimi. L’aria che si respirava in quel posto era differente da quella a cui ero stato abituato nel resto dell’Egitto: si percepiva una forte identità propria negli abitanti, uno stile specifico a livello architettonico, in molti casi abiti differenti dal resto della popolazione. Il luogo scelto per vivere, inoltre, è fisicamente distante dalla frenesia della città di Aswan: mentre questa è arroccata sulle alture della sponda orientale, i Nubiani conservano le loro tradizioni tra le varie isole presenti sul corso del Nilo e le pacifiche rive sabbiose che si trovano dall’altro lato del fiume.
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Tra le maggiori città egiziane, Aswan è quella situata più a sud; sotto di essa, il lago Nasser e il deserto che lo circonda dominano il territorio. Ma proprio in mezzo a questo nulla fatto di sabbia e acqua, a quasi 300 chilometri da Aswan e a poco meno di 30 dal confine con il Sudan, si erge il complesso archeologico di Abu Simbel, composto principalmente da due templi fatti costruire da Ramses II e dedicati rispettivamente a sé stesso e a sua moglie Nefertari. La sveglia alle 3 di notte per raggiungere il tempio in mattinata fu complicata ma ripagò lo sforzo iniziale di scendere dal letto: dopo 4 ore di viaggio attraverso il deserto mi trovai di fronte a questa enorme struttura, e non mi rimase altro da fare che rimanere a bocca aperta. La cosa più incredibile di questo complesso è che, quando negli anni Sessanta vennero avviati i lavori per la costruzione della diga, entrambi i templi vennero tagliati, numerati e smontati blocco per blocco, per poi essere ricostruiti in una nuova posizione, evitando così che venissero sommersi dal lago che sarebbe andato a crearsi. Ben 113 paesi diversi contribuirono in vari modi a questa enorme impresa di smontaggio e rimontaggio, che durò sì quattro anni ma che servì a salvare il magico complesso di Abu Simbel e di consegnarlo definitivamente, così come da pronostici dei suoi costruttori, all’eternità.
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