L’Egitto è uno dei pochi stati “transcontinentali” al mondo, appunto perché si divide tra due continenti: mentre il corpo principale fa parte dell’Africa, la penisola del Sinai viene considerata geograficamente appartenente all’Asia. Ed era lì, nella porzione asiatica, che si trovava il luogo in cui avrei dovuto recarmi in quell’occasione: Dahab, il cui nome in arabo significa “oro”. E come tutte le cose preziose, si rivelò non facile da raggiungere: l’area del Sinai è una zona altamente instabile a livello politico, sia per le cellule terroristiche presenti nel centro della penisola, sia per la vicinanza alla striscia di Gaza e ad Israele, i cui rapporti con lo stato egiziano sono molto tesi a causa di guerre passate. Così, una volta attraversato il canale di Suez, l’autobus fu costretto a fare il giro completo della penisola e, dopo decine di stop ai posti di blocco, di controlli di passaporti e ispezioni dei bagagli finalmente fu possibile arrivare a destinazione il mattino seguente, accolti da un sole caldo anche se appena sorto.
Dahab in passato era un semplice villaggio di pescatori, ma con il tempo si è convertito in una miniera di opportunità, specialmente dal punto di vista turistico. È difficile trovare un posto così piccolo e al contempo così ricco di meraviglie naturali, completamente immerso tra montagne rocciose e mari cristallini. I suoi fondali vanno da profondità modeste in cui è possibile fare snorkeling, nuotando tra pesci coloratissimi e stupende formazioni di coralli, fino a raggiungere gli abissi del ‘Blue Hole’, un cratere marino a pochi metri dalla riva, le cui acque sono più adatte alle immersioni, nonostante sia necessaria una certa esperienza in materia se si vuole evitare di non riemergere. Il tutto contornato da una continuo viavai di cammelli, forse superiori per numero agli abitanti del posto.
Fra tutte le zone costiere adiacenti a Dahab che si aprono sul Mar Rosso, il luogo più incredibile per me è stato senza dubbio la ‘Blue Lagoon’, una striscia di terra che fa da contorno a un mare talmente azzurro da sembrare finto. In questa parte del Golfo di Aqaba, una delle due lingue di mare che accarezzano il sud della penisola, lo spettacolo è unico: mentre si nuota si è circondati da montagne, avendo alle spalle le alture egiziane e di fronte, a una distanza realmente irrisoria, le coste montuose dell’Arabia Saudita. Un vento fortissimo e inarrestabile, inoltre, rende questo paradiso una meta perfetta per gli amanti di windsurf e kitesurf.
Come detto, Dahab non è solo mare: pur essendo un villaggio costiero è incastonato ai margini di una penisola arida, fatta di polvere, deserto e montagne. E proprio qui si trova uno dei monti più conosciuti al mondo, uno di quelli che sono avvolti da un’aura quasi mitologica: il monte Sinai, scalato da Mosè migliaia di anni fa per ricevere i Dieci Comandamenti direttamente da Dio. Non potevo perdere l’opportunità di affrontare un’esperienza simile, di camminare nella storia, di ripercorrere i passi di una figura così importante e in comune tra più di una religione. Una sera levammo le tende da Dahab e ci addentrammo verso il cuore della penisola raggiungendo, anche qui dopo svariati controlli di polizia per motivi di sicurezza, la nostra destinazione. Il luogo era suggestivo: le pareti rocciose si alzavano ripide davanti a noi, e qualche beduino offriva il proprio cammello per affrontare la scalata in maniera più confortevole.
È notte, si inizia a camminare. Dalle pendici del Sinai si intravedono le montagne rossastre grazie alla prepotente luce dei raggi lunari. In questo ambiente mozzafiato, capita di incontrare lungo il percorso qualche beduino, quasi sempre accompagnato fedelmente dal proprio cammello, che sta vagando per la montagna in piena notte, non si sa bene perché. E quando, dopo svariati chilometri in salita, il faticoso cammino sembra terminato, si presenta un ultimo ostacolo prima della vetta: 750 scalini (scaloni) fatti di grosse pietre.
Finalmente sulla cima, sotto un cielo stellato ma ancora scuro, mi trovo davanti una moschea e una chiesa, costruite una accanto all’altra. Soffia un vento gelido e costante: la stanchezza dopo la scalata si fa sentire, e cerco riparo tra i due piccoli edifici. Ma poco a poco la luce cambia, il cielo comincia ad arrossire e in pochi secondi un sole caldo e rotondo sorge dietro le schiere di montagne, inondandole coi suoi raggi e delineandone gradualmente i profili. In quel momento avrei voluto continuare a scalare, arrivare più in alto, poter volare per godermi ancora meglio quel panorama. Sfortunatamente, dalla vetta non si va in nessun posto, si può solo scendere. Ma si scende con gli occhi pieni di luce.